Pochi, maledetti e tardi
I tanto sbandierati 190 miliardi del Next Generation EU non arriveranno mai o quasi. Ma un'alternativa semplice e possibile c'è. Parola di Palazzo Chigi.
Con diciotto slide viene presentato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Di tutto questo cosa rimane? Subito alla prima pagina accanto ad espressioni quali “riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica” troviamo il classico e sempreverde “ambizioso e coerente pacchetto di riforme”. Generalmente ambizioso in politica sta per “irrealizzabile” ma scritto così pareva forse brutto. Se si parla invece di “coerenza” bisognerebbe chiedersi rispetto a cosa?. Gli investimenti complessivi sono 221,5 di cui 191,5 derivanti dal cosiddetto RRF (Recovery and Resilience Fund) ed i rimanenti 30 miliardi da un fondo cosiddetto “complementare”. Che differenza c’è fra i due strumenti? Nessuna. Anzi una ma lo scoprirete alla fine di questo articolo. Un quinto circa degli investimenti (22%) riguarda la digitalizzazione e l’innovazione; quasi un terzo (30%) riguarda la sempreverde “rivoluzione verde”; poco più di un decimo (13%) le infrastrutture per viaggiare Quale ad esempio le ferrovie. Più le cose sono comprensibili e concrete minori sono gli stanziamenti. Funziona così. Alla scuola viene riservato il 17% ed alle politiche del lavoro il 10%. Fanalino di coda la salute con appena l’8% del totale. Dove campeggia uno straniante “casa come primo luogo di cura (assistenza domiciliare)” a pagina 9. Tutto quanto condivisibile e da sottoscrivere col sangue se non fosse che è notizia di ieri che il governo in carica, non contento dei mortificanti risultati ottenuti sul fronte delle terapie domiciliari, è ricorso al Consiglio di Stato contro una sentenza del Tar. Una pronuncia che di fatto ampliava il novero dei mezzi terapeutici a disposizione di quei volenterosi medici che non vogliono fermarsi alla semplice “tachipirina e vigile attesa” riportate nelle linee guida ministeriali per combattere il Covid. Per il resto “riforme strutturali” (in genere significano lacrime e sangue), “riforme abilitanti” (che nel gergo europeese vogliono dire ciò che devi fare per avere i soldi) e “settoriali specifiche”. Il tutto per ottenere che cosa? Tre punti di PIL in più. Beh mica male. Ah dimenticavo. Tre punti in più nel periodo 2021-2026. Più o meno 50 miliardi. A fronte di una perdita di reddito nel 2020 di quasi 155 miliardi. Il tutto con negoziati che si protraggono da circa un anno e chissà per quanto tempo ancora; centinaia di pagine di regolamenti, procedure, linee guida e diagrammi di Gant. Rendicontazioni, verifiche, controlli e probabili contenziosi al momento della rendicontazione dei fondi. Come del resto scriveva candidamente Repubblica lo scorso 21 luglio all’indomani del primo accordo in seno al Consiglio Europeo. Si parlava del cosiddetto “freno di emergenza”. Vale a dire il diritto per un qualsiasi Paese di invocare la sospensione nella distribuzione dei fondi. In pratica “una sorta di clausola di garanzia anti-Salvini; se in Italia dovesse arrivare un governo illiberale e antieuropeo, Francia e Germania avrebbero il peso di spingere Bruxelles a bloccare i fondi”. Il tutto a meno che l’Italia non ricorra al cosiddetto Fondo Complementare di cui parlavamo all’inizio. Ovvero soldi raccolti con l’emissione di Btp acquistati quasi sicuramente da Banca d’Italia che girerebbe al Tesoro gli interessi incassati su quei titoli sotto forma di dividendo per il fatto di controllare l’Istituto di Vigilanza. Costo quindi zero. E che differenza ci sarebbe fra il RRF e il Fondo Complementare? Nessuna. Anzi una. Vale a dire “nessun obbligo di rendicontazione a Bruxelles e possibilità di scadenze più lunghe rispetto al 2026”. Non sono parole mie ma del Ministero dell’Economia riportate a pagina 3.